“….Se il meglio del loro ingegno vogliono spenderlo non nella scuola, ma in altra cosa che li appassioni, raccolta di coleotteri o studio della lingua turca, sono fatti loro e non abbiamo nessun diritto di rimproverarli, di mostrarci offesi nell’orgoglio, frustrati d’una soddisfazione. Se il meglio del loro ingegno non hanno l’aria di volerlo spendere per ora in nulla, e passano le giornate al tavolino masticando una penna, neppure in tal coso abbiamo il diritto di sgridarli molto: chissà, forse quello che a noi sembra ozio è in realtà fantasticheria e riflessione, che, domani, daranno frutti. Se il meglio delle loro energie e del loro ingegno sembra che lo sprechino, buttati in fondo a un divano a leggere romanzi stupidi, o scatenati su un prato a giocare a foot-ball, ancora una volta non possiamo sapere se veramente si tratti di spreco dell’energia e dell’ingegno, o se anche questo, domani, in qualche forma che ora ignoriamo, darà frutti. Perché infinite sono le possibilità dello spirito. Ma non dobbiamo lasciarci prendere, noi, i genitori, dal panico dell’insuccesso…..

……Quello che deve starci a cuore, nell’educazione, è che nei nostri figli non venga mai meno l’amore alla vita. Esso può prendere diverse forme, e a volte un ragazzo svogliato, solitario e schivo non è senza amore per la vita, né oppresso dalla paura di vivere, ma semplicemente in stato di attesa, intento a preparare se stesso alla propria vocazione. E che cos’è la vocazione d’un essere umano se non la più alta espressione del suo amore per la vita? Noi dobbiamo allora aspettare, accanto a lui, che la sua vocazione si svegli, e prenda corpo. Il suo atteggiamento può assomigliare a quello della talpa o della lucertola, che se ne sta immobile, fingendosi morta: ma in realtà fiuta e spia la traccia dell’insetto, sul quale si getterà con un balzo. Accanto a lui, ma in silenzio e un poco in disparte, noi dobbiamo aspettar lo scatto del suo spirito. Non dobbiamo pretendere nulla: non dobbiamo chiedere o sperare che sia un genio, un artista, un eroe o un santo; eppure dobbiamo essere disposti a tutto; la nostra attesa e la nostra pazienza deve contenere la possibilità del più alto e del più modesto destino.
Una vocazione, una passione ardente ed esclusiva per qualcosa che non abbia nulla da vedere col denaro, la consapevolezza di poter fare una cosa meglio degli altri, e amare questo cosa al di sopra di tutto, è la sola e unica possibilità, per un ragazzo ricco, di non essere per nulla condizionato dal denaro, di esser libero di fronte al denaro. Di non sentire, fra gli altri, né l’orgoglio della ricchezza né la sua vergogna. Egli non s’accorgerà neppure degli abiti che porta, dei costumi che lo circondano, e domani sarà capace di qualunque privazione, perché l’unica fame e l’unica sete sarà in lui la sua passione stessa, che avrà divorato tutto quanto è futile e provvisorio, l’avrà spogliato di ogni abitudine o atteggiamento contratto nell’infanzia, e regnerà sola sul suo spirito. Una vocazione è l’unica vera salute e ricchezza dell’uomo.
Quali possibilità abbiamo di svegliare e stimolare, nei nostri figli, la nascita e lo sviluppo d’una vocazione? Non ne abbiamo molte: e tuttavia ne abbiamo forse qualcuna. La nascita e lo sviluppo d’una vocazione richiede spazio: spazio e silenzio: il libero silenzio dello spazio. Il rapporto che intercorre fra noi e i nostri figli, dev’essere uno scambio vivo di pensieri e di sentimenti, e tuttavia deve comprendere anche profonde zone di silenzio; dev’essere un rapporto intimo, e tuttavia non mescolarsi violentemente alla loro intimità; dev’essere un giusto equilibrio fra silenzio e parole. Noi dobbiamo essere importanti, per i nostri figli e tuttavia non troppo importanti: dobbiamo piacergli un poco, e tuttavia non piacergli troppo: perché non gli salti in testa di diventare identici a noi, di copiarci nel mestiere che facciamo, di cercare, nei compagni che si scelgono per la vita, la nostra immagine. Noi dobbiamo essere, con loro, in un rapporto d’amicizia: eppure non dobbiamo essere troppo i loro amici, perché non gli diventi difficile avere dei veri amici, a cui possano dire cose che tacciono con noi. La loro ricerca d’amici, la loro vita amorosa, la loro vita religiosa, la loro ricerca d’una vocazione, è necessario che siano cinte di silenzio e d’ombra, che si svolgano in disparte da noi. Mi si dirà che allora la nostra intimità coi nostri figli si riduce a ben poca cosa. Ma nei nostri rapporti con loro, dev’essere contenuto tutto questo per sommi capi, e la vita religiosa, e la vita dell’intelligenza e la vita affettiva, e il giudizio sugli esseri umani; noi dobbiamo essere, per loro, un semplice punto di partenza, offrirgli il trampolino da chi spiccheranno il salto. E dobbiamo essere là per soccorso, se soccorso sia necessario; essi debbono sapere che non ci appartengono, ma no sì che apparteniamo a loro, sempre disponibili, presenti nella stanza vicina, pronti a rispondere come sappiamo ad ogni interrogazione possibile, ad ogni richiesta.
E se abbiamo una vocazione noi stessi, se non l’abbiamo tradita, se abbiamo continuato attraverso gli anni ad amarla, a servirla con passione, possiamo tener lontano dal nostro cuore, nell’amore che portiamo ai nostri fili, il senso della proprietà. Se invece una vocazione non l’abbiamo, o se l’abbiamo abbandonata e tradita, per cinismo o per paura di vivere, o per un malinteso amor paterno, o per qualche piccola virtù che si è installata in noi, allora ci aggrappiamo ai nostri figli come un naufrago al tronco dell’albero, pretendiamo vivacemente da loro che ci restituiscano tutto quanto gli abbiamo dato, che siano assolutamente e senza scampo quali noi li vogliamo, che ottengano dalla vita tutto quanto a noi è mancato; finiamo col chiedere a loro tutto quanto può darci soltanto la nostra vocazione stessa: vogliamo che siano in tutto opera nostra, come se, per averli una volta procreati, potessimo continuare a procrearli lungo la vita intera. Vogliamo che siano in tutto opera nostra, come se si trattasse non di esseri umani, ma di opera dello spirito. Ma se abbiamo noi stessi una vocazione, se non l’abbiamo rinnegata e tradita, allora possiamo lasciarli germogliare quietamente fuori di noi, circondati dell’ombra e dello spazio che richiede il germoglio d’una vocazione, il germoglio d’un essere. Questa è forse l’unica reale possibilità che abbiamo di risucir loro di qualche aiuto nella ricerca di una vocazione, avere una vocazione noi stessi, conoscerla, amarla e servirla con passione: perché l’amore alla vita genera amore alla vita.”.

 

Tratto da Le piccole virtù di Natalia Ginzbur


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