“Invece la vicenda chiesa-pedofilia mi lascia quasi del tutto indifferente. Perché?
Donne, bambini e bambine sono da sempre oggetto della sessualità mal diretta e mal gestita degli uomini. Il fatto che i colpevoli di turno siano preti peggiora le cose? Ma, non so. Per una ex-bambina abusata da un familiare, che impara a sei anni che non c'è nessun adulto assolutamente al di sopra di ogni sospetto, così come devono essere considerati potenziali pericoli padri, fratelli, zii e cugini, perché non i preti? Perché non i vecchi decrepiti? Perché non, perfino, gli impotenti?
Semmai la novità per me significativa è che anche alcuni maschi abbiano cominciato a parlare. Alcuni uomini oggi confessando di condividere con le donne questo triste “destino”, l'esperienza della brutalità di cui è capace la sessualità maschile, vincendo la vergogna di raccontare ciò che da sempre li umiliava e li sminuiva di fronte a se stessi, alle donne, agli altri maschi. Queste vittime hanno infranto un doppio tabù, quello che nel simbolico li riduceva, in passato, a una duplice diminuzioni: essere oggetti ed essere oggetti usato come lo sono per lo più le donne.
Vorrei ringraziare questi uomini per il loro coraggio e dire lo che per me rappresentano il nuovo che avanza, la prova più certa che si può costruire un'altra civiltà nel vivere il rapporto tra i sessi.
Un'altra spiegazione della mia apparente estraneità potrebbe essere che con fatica mi sono liberata dall'odio nei confronti del mio abusatore, e che quindi mi allontano da emozioni forti che potrebbero destabilizzarmi, risucchiandomi nel passato. Ma nemmeno questa ipotesi mi convince.
Provo invece una profonda empatia per le vittime, ma non riesco ad abboccare all'amo dell'odio per i colpevoli. Sono disponibile a rivivere ricordi orribili, a patto che al centro della scena stiano coloro che hanno subito, non chi ha abusato. Invece sento troppo spesso la storia di questi ultimi, storia che non mi interessa affatto, condita co inutili discussioni se debbano essere considerati pervertiti o malati, se curarli o punirli, se sono stati “coperti” da qualcuno o meno ecc. ecc. Si cercano addirittura delle attenuanti: eliminando il celibato, si eviterebbero gli abusi? Aumentando i controlli i i controllori, si arginerebbe il fenomeno?
Queste discussioni sono la prova per me più certa che non viene data parola alle vittime, che non si ascoltano veramente le loro storie. Se la parola fosse data alle vittime, esse laconicamente direbbero: il mondo è pieno di uomini decorosamente sposati che abusano di donne e bambini\e. Il celibato non c'entra nulla. C'è sempre qualcuno che copre i pedofili: ci sono servizievoli e zelanti aiutanti e questi sono altri uomini e anche donne. Non c'è controllo esterno che tenga.
Se non sento la voce delle vittime – che so riconoscere – nessun'altra emozione mi spinge a prestare attenzione al finto dibattito.
Sempre più, con il passare degli anni, una prima questione per me è come riuscire a tenere insieme l'assenza di odio con la necessità della giustizia. I colpevoli devono essere puniti e messi nelle condizioni di non nuocere più, ma questa punizione dovrebbe essere assegnata “spassionatamente”, come conseguenza della presa in carico della sofferenza delle vittime e per evitare dolore futuro, senza trionfalismo, senza accanimento, considerando l'esistenza dell'abuso più un fallimento collettivo e non una perversione individuale. Il problema della sessualità maschile e il suo simbolico ci sta davanti in tutta la sua gravità. Ogni volta che un pedofilo viene pubblicamente accusato, non dobbiamo far correre il rischio di credere a tutti gli altri uomnii che “facendo giustizia”  i conti siano tornati. Purtroppo bisogna fare attenzione anche agli uomini buoni, che voglio proteggere coloro che amano dai disordini e dagli squilibri degli uomini cattivi: la sessualità maschile è una, l'unico distinguo possibile è tra coloro che se ne assumono le responsabilità e i rischi e coloro che si illudono sia solo una faccenda “naturale”. Per i primi diventa l'impegno di una vita, per i secondi rischia di essere un azzardo le cui vicende possono dipendere dal caso (“le tentazioni” che ciascuno quando meno se lo aspetta, può incontrare sul suo cammino).
La seconda questione è come trovare le parole per parlare con gli uomini della violenza subita da parte di altri uomini. La mia ricerca di parole è stata lunga e difficile. Inizialmente volevo solo essere compatita, risarcita e vendicata. Oggi sento che ho creato una relazione quando colui che mi ascolta prova semplicemente una profonda tristezza, tristezza che deve diventare la misura per mettersi alla ricerca di una cura, una sollecitudine e una protezione nei confronti di tutti\e coloro che ci stanno vicini\e, comprese le parti piccole e sofferenti che abbiano dentro di noi.
Oggi sto vedendo uomini abusati parlare di quanto loro è accaduto. Domani vorrei vedere sempre più uomini punire i loro simili con pietà e tristezza, come fratelli sventurati e portatori di sventure, i cui atti sono una vergogna per tutti, usando la massima sobrietà, compostezza e discrezione possibili.
Ultima questione è quella del risarcimento delle vittime, che la giustizia penale non riesce certo a realizzare appieno. Per risarcire le vittime occorre amarle profondamente.
Quando si subisce una abuso, si è come un malato con la febbre a quaranta cui si chiede di vivere come se fosse sano. E' impossibile. Si trema, si ha freddo, la testa scoppia; anche se ri riesce a stre in piedi, ogni gesto costa così tanta fatica che non si prova ne vivere alcuna gioia, ma solo un'angoscia indistinta e la preoccupante consapevolezza che se la volontà viene meno ci si frantuma in mille pezzi. Quando si è malati\e in questo modo, essere amati\e vuol dire avere vicino qualcuno che ti mette a letto, ti rimbocca le coperte, che ti invita a riprenderti tutto il tempo necessario per la guarigione.
Si parla molto della presunta malattia di cui soffrono gli abusatori, mentre io vorrei si parlasse della malattia reale delle vittime, e di coloro che concedono ad esse il  tempo della guarigione, degli uomini e delle donne che si occupano delle ferite con sollecitudine, pazienza, coraggio, mentre la giustizia penale segue il suo corso. La mia vita di oggi mi è stata data da quelli\e che mi hanno curata e restituita alla pienezza, che mi hanno aiutata a fare a meno dell'odio e a riscegliere la libertà. Se si mettessero al centro della discussione pubblica l'opera d'amore che instancabilmente lavora attorno al dolore della violenza avremmo forse un'idea più esatta di quanto la miseria sia dalla parte di quelli che, violentando donne bambini e bambine, si autoescludono dal meglio di cui sono capaci gli essere umani, cioè dalle relazioni di cura basate sullo scambio e sulla gratuità.
Alle donne e agli uomini che hanno subito qualsiasi abuso vorrei dire che si può guarire anche quando i colpevoli non vengono acciuffati. L'uomo che ha abusato di me oggi è sposato, ha dei figli, ha un sacco di soldi. Non ho avuto nessuna giustizia” in termini penarli, nessun risarcimento in denaro, anzi, sono stata solo e malata per molto tempo, per molto tempo ho tenuto di non poter essere capace di amare, o, peggio che nessuno\a mi avrebbe mai amata.
Invece sono stata amata, e molto.
Mentre altri si occupano penalmente di quelli che ci hanno usate\i, noi cerchiamo di lasciare avvicinare chi è all'altezza di curarci, quelli\e che ci vogliono bene. Dobbiamo cercare di guarire e meglio che possiamo, per occuparci degli altri, i piccoli e le piccole di oggi, che hanno bisogno di noi e della nostra forza.

 

Monica Benedetti
Via Dogana n 94 settembre 2010
pagg. 7-8


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